15 febbraio 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica


A Onorevole Giorgio NAPOLITANO
Presidente della Repubblica Italiana
Palazzo del Quirinale 00100- ROMA
Esimio Presidente,
mi permetto di scriverLe questa lettera a seguito delle dichiarazioni del presidente croato, Stipe Mesic, che ha affermato di aver intravisto nelle sue dichiarazioni, in occasione della Giornata del ricordo delle foibe "elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico".
In particolare il suo omologo croato non ha gradito che Lei abbia definito i fiumani ed i dalmati “vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica".

Ebbene , con tutto il rispetto dovuto, alla carica che ricopre più che alla Sua persona, non sono del tutto d’accordo con l’ondata di voci sdegnate dei nostri politici che si sono affrettati a difenderLa ed a bollare Mesic come un matto.
Troppo facile insultare chi critica senza farsi un esame di coscienza e senza chiedersi cosa possa aver scatenato una tale reazione da parte del presidente croato, finora definito liberale e moderato.

Lei se l’è fatto un esame di coscienza, caro Presidente? (La prego, Signor Presidente, non mi cestini già a questo punto. Devo ancora chiederLe un po’ del Suo tempo)
Ad una prima lettura superficiale del discorso da Lei recentemente pronunciato sembrerebbe di sì.
Tanto che tutti, da sinistra, ma soprattutto da destra, si sono affrettati ad urlare al miracolo: un uomo di sinistra come lei, con il suo passato politico, che finalmente ammetteva, non solo la tragedia che ha colpito circa 15.000 persone, ma soprattutto che condannava la congiura del silenzio che aveva dolosamente nascosto questo dramma per 60 anni.
E devo ammettere che anch’io ero contento che Lei si fosse assunto “la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica” .

Ma non mi basta.
E forse non basta neppure a Mesic. Forse non basta alle vittime delle foibe ed ai loro parenti.
Perché, leggendo con più attenzione il suo discorso, manca qualcosa, manca un pezzo di storia, manca un tassello fondamentale, manca una parola, che è un’ammissione di responsabilità, ma che Lei si ostina a nascondere “per pregiudiziali ideologiche e cecità politica”.
Manca proprio quella parola che racchiude in sé centinaia di milioni di morti: COMUNISMO.

Lo scrivo maiuscolo, esimio Presidente, perché Lei non può continuare a far finta che non sia mai esistito e che non abbia mai causato tutti i morti che ha causato, e poi pretendere che chi ha subìto sulla propria pelle quella immane tragedia, che sono stati i regimi comunisti dell’est Europa, faccia finta di niente.

Troppo comodo dire che le foibe sono state solo colpa di Tito e delle mire espansionistiche jugoslave.
Se vuole davvero far qualcosa perché il 'Giorno del Ricordo ' si trasformi seriamente in “un solenne impegno di ristabilimento della verità”, la verità va detta tutta.

E la verità che Lei si ostina a tacere e a nascondere dolosamente è che tra gli assassini infoibatori c’erano anche tanti, tantissimi, partigiani comunisti italiani.
Italiani traditori della loro Patria, che per anni hanno combattuto contro i propri fratelli e compatrioti per far sì che il Venezia Giulia finisse sotto il regime comunista di Tito.
Maledetti assassini italiani comunisti che hanno fatto strage di altri italiani, istriani, dalmati, non per pulizia etnica, ma perché si opponevano al loro tentativo di spostare la cortina di ferro qualche chilometro più a ovest.

E così come lo sa Lei, lo sa bene Mesic e lo sanno ancor meglio tutti gli abitanti del Venezia Giulia, dell’Istria, della Dalmazia, della Slovenia e della Croazia, che hanno avuto migliaia di morti a causa della guerra che le truppe “ titine”!, affiancate dai partigiani comunisti italiani, hanno combattuto per anni, dopo il ‘45, per annettere quelle terre alla Jugoslavia.
Allora, magari, esimio Presidente, ammettendo questo, non si possono certo giustificare le parole piuttosto aggressive di Mesic, ma forse si possono anche capire.
Io non so cosa gli sia passato per la mente e certamente ha sbagliato, ma ho la sensazione che gli abbia dato decisamente fastidio passare per il presidente di un popolo cattivo, mentre un comunista, ideologicamente molto vicino agli assassini comunisti partigiani infoibatori, abbia scaricato sugli slavi tutte le colpe, anche quelle che non avevano, e si sia spacciato per il presidente buono di un popolo, autodefinito esclusivamente vittima.
Magari sentendola scaricare su croati e sloveni tutta la responsabilità di quella tragedia, liquidata fin troppo facilmente come pulizia etnica, si sarà un po’ infuriato nel vedere che Lei non si assumeva la benché minima responsabilità morale per quanto accaduto.
Può anche darsi che gli abbia dato fastidio sentirsi dare lezioni di verità da uno che giusto pochi mesi fa, con enorme fatica e dopo essere stato ripetutamente tirato per la giacchetta, si è finalmente deciso ad ammettere di aver sbagliato a chiamare "teppisti" e "spregevoli provocatori" gli operai insorti nella rivoluzione ungherese del ’56, ed a definire l’invasione sovietica, che aveva sedato nel sangue la rivolta ungherese, un elemento di "stabilizzazione internazionale" e un "contributo alla pace nel mondo". Forse si sarà infastidito nel notare che, ancora oggi, i nostri comunisti si permettono di dare lezioni di verità storica al mondo, ma si ostinano a non ammettere le migliaia di morti che hanno causato i partigiani comunisti, quando la guerra era già finita da tempo.
Potrebbe essersi stupito nel notare che, dopo le sue parole, il Manifesto e i giornali a Lei cari parlassero ancora di vendette degli slavi per le stragi fasciste.
Forse si sarà offeso nel sentirsi dare del popolo vendicatore e assassino, quando invece lui sa bene che le peggiori vendette sono state proprio quelle degli italiani partigiani rossi comunisti, non solo contro i fascisti, ma contro gli stessi partigiani bianchi.
È probabile che gli abbia dato fastidio il notare che Lei taceva di un’altra scomoda verità: i morti non erano solo italiani, ma tanti , tantissimi sloveni e croati che si opponevano al regime comunista.
Diciamoci la verità, caro Presidente: i morti delle foibe sono vittime del comunismo. Punto e basta.
E gli assassini infoibatori erano comunisti. Punto e basta.
Non si possono fare distinzioni di nazionalità, né tra gli assassini né tra i morti.
Troppo facile parlare di pulizia etnica e di mire espansionistiche.
Troppo comodo dare tutte le colpe agli jugoslavi e far finta che gli italiani non abbiano cercato con la forza di annettere un pezzo d’Italia al blocco comunista.
Ecco che magari, se ammettiamo questo, diventa più difficile dare completamente torto a Mesic, se si è un pochino, ma non più di tanto, alterato nel leggere il suo discorso.
E già che siamo in vena di esami di coscienza, caro Presidente, perché non si guarda allo specchio e non si chiede se gli arresti dei 15 brigatisti di ieri non siano figli della stessa negazione di verità storiche.
Restiamo l’unico Paese europeo che non si vergogna ad avere nella maggioranza governativa partiti e uomini che si dichiarano apertamente comunisti.
Assumiamo brigatisti (comunisti), mai veramente pentiti, nei posti più importanti delle nostre istituzioni.
Chiamiamo terroristi (comunisti), che non hanno neppure finito di scontare la propria pena, a discutere dal pulpito della nascita di uno dei più importanti partiti del Paese.
Permettiamo che tornino a piede libero, senza aver mai fatto un giorno di galera, capi terroristi (comunisti) che si proclamano tutt’oggi rivoluzionari pronti a prendere le armi.
Graziamo assassini (comunisti). Anzi, per la verità è stato il suo primo atto ufficiale dopo la sua elezione.
Intitoliamo aule del Senato a devastatori di professione no-global (comunisti) che hanno tentato di uccidere agenti dello Stato che lei dovrebbe rappresentare.
Candidiamo a importanti cariche amministrative poeti idioti (comunisti) che incitano all’odio di classe.
Demonizziamo ripetutamente gli avversari politici ed in particolare incitiamo all’odio collettivo nei confronti dell’ex capo del governo.
Continuiamo a ignorare, come se non esistesse e non fosse storicamente importantissima, la risoluzione del Consiglio d’Europa che, finalmente, dopo 60 anni di bugie, ha equiparato il comunismo al nazismo ed ha riconosciuto che questo infame regime ha causato almeno 100 milioni di morti.
Proponiamo leggi che puniscono chi nega l’olocausto, ma non ci sogniamo minimamente di estenderle a chi nega che il comunismo sia stato un male ben peggiore.
E allora, esimio Presidente, quando la sera al Quirinale si mette il pigiamino presidenziale e si stende nel lettone non sente il peso di queste negazioni, di queste bugie, di questi morti?
Non si sente un po’ in colpa se ancora esistono le Brigate Rosse?

Con ossequio,

Bernardo Ferro direttore della Segretissima Investigazioni –Roma-

12 febbraio 2007

BRIGATE ROSSE: Il ritorno del partito armato

Mentre pensiamo e ci trastulliamo con le Veroniche ed i Silvi, o con i Dico, ex Pacs, con i pacchi di Rai Uno o con l’imminente, imprescindibile, festività di San Valentino, nell’ombra continua ad esserci chi fa terribilmente sul serio.
E’ notizia di queste ultime ore che la Digos, con una imponente operazione che ha visto impegnati contemporaneamente cinquecento uomini e che si è svolta a Milano, Torino, Padova e Trieste, ha arrestato quindici persone e, probabilmente, sventato la riorganizzazione delle Brigate Rosse.
A detta degli inquirenti ed il ministro Amato, queste nuove Brigate Rosse si chiamano “Seconda Posizione” e, come le altre, si ispirano al marxismo-leninismo, predicando la rivoluzione del proletariato e la presa comunista del potere.
Secondo il ministro dell’Interno l’organizzazione stava preparando un clamoroso attentato, che ora è presumibilmente da ritenersi sventato. Gli indagati, tra cui alcuni ex sindacalisti, sono accusati di ricostruire il vecchio partito armato” le Brigate Rosse”. Amato: «Forse sventato un attentato»
Operazione scattata all'alba, si è intensificata in diverse regioni del Nord Italia contro gruppi legati alla rinascita delle Br. Apprezzato dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato: «Probabilmente questa volta siamo riusciti a prevenire un attentato brigatista. E lo abbiamo fatto grazie a due anni di indagini condotte con grande professionalità dalle Digos di Milano, Padova, Torino e Trieste, sotto la direzione dell'Ucigos, non senza l'importante collaborazione dell'intero sistema di sicurezza antiterrorismo, a cominciare dal Sisde. Per mesi i componenti di questa colonna brigatista sono stati sottoposti non solo a intercettazioni, ma anche a controlli ravvicinati quotidiani, facendo emergere prove sufficienti per arrivare al loro arresto. Era un'organizzazione strutturata e di forte pericolosità, ma i nostri uomini sono riusciti a intervenire prima che producesse danni seri». «È un successo importante - ha concluso Amato - all'interno di un'attività antiterrorismo che prosegue. L'azione di oggi, infatti, testimonia la presenza nel Paese di focolai brigatisti non ancora rimossi. Questo che abbiamo sgominato, lo sappiamo, non è l'ultimo».
Sono 15 le persone arrestate nel corso del blitz antiterrorismo nel Nord Italia e tutte sarebbero accusate di far parte di un progetto che avrebbe tentato di rilanciare le Brigate Rosse che facevano parte della cosiddetta «seconda posizione». L'operazione è scattata all'alba nel nord Italia. Molti gli indagati, accusati di appartenere a una formazione eversiva di stampo marxista leninista. Il reato è previsto dall' articolo 270 bis del Codice penale: associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico. Nel corso dell'operazione sono stati eseguiti anche arresti in esecuzione di provvedimento cautelare emesso dall'autorità giudiziaria di Milano. Oltre 80 le perquisizioni in varie regioni. Tra le prove raccolte dagli inquirenti, a quanto si è saputo, ci sono anche esercitazioni di tipo paramilitare che gli indagati avrebbero compiuto andando a sparare con armi corte e lunghe in zone di campagna. Queste esercitazioni sono state anche filmate.
Tra le persone arrestate c'è anche Alfredo D'Avanzo, 49 anni, ritenuto uno dei capofila di "Seconda posizione". D'Avanzo era stato condannato nell' 82 a dieci anni di carcere per rapina a mano armata ed era stato fermato il 20 gennaio '98 a Parigi su richiesta della magistratura italiana, e rimesso in libertà qualche giorno dopo dalla Corte d' Appello della capitale francese. Oltre a D'Avanzo, tra i destinatari dell' ordinanza cautelare in carcere firmata dal gip Salvini ci sono anche alcuni sindacalisti della Cgil, già sospesi.
L'operazione, spiega una nota, trae origine da una lunga inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano Ilda Bocassini, avviata nell'estate del 2004. Le indagini sono state condotte, sotto la direzione dell'Ucigos e dalle Digos di Milano, Padova e Torino, Trieste.
Nell'operazione, condotta congiuntamente dalle questure di Milano, Padova e Torino, avviata alle prime luci dell'alba, sono state compiute una ventina di perquisizioni nelle abitazioni dei giovani vicini al Centro sociale Gramigna di Padova, portando a termine sei arresti.
Leggere questa notizia mi rattrista tantissimo, mi riporta indietro di anni, gli anni che hanno segnato una storia del nostro paese, dove anch’io ero in prima linea. Mi aspettavo che i soliti "odiatori di professione" stessero tramando qualcosa. Del resto i loro cattivi maestri sono osannati, serviti e riveriti da tanta parte della sinistra, sinistrata, sinistrante. A questo punto mi chiedo cosa davvero pensi il Dott. Sottile e perchè stia ancora con una maggioranza pavida e, per molta sua parte, opportunista e giustificazionista nei confronti di certa "feccia". Ancora compagni che sbagliano? E in cosa di grazia? Pronti a sabotare lo Stato poichè a governare ci sono i loro “compagnucci” di merende. Non capisco e, ovvio, non mi adeguo.

10 febbraio 2007

Foibe - 10 febbraio 2007- Giornata del Ricordo


Il termine«foiba» (dal latino "fovea", "fossa") veniva utilizzato per definire le numerose voragini (ne sono state censite 1.700) che sprofondano per centinaia di metri nelle viscere della terra, caratterizzate da cavità di ogni genere, cunicoli, grotte, acque che scorrono fra tortuosi, profondi meandri e che caratterizzano l'altipiano roccioso del Carso, un territorio che si estende su notevole parte della Venezia Giulia in provincia di Trieste, dell’Istria e della Dalmazia.

La convivenza fra Italiani e Slavi

Nel periodo della Serenissima Repubblica Veneta (1420/1797) le due etnie convivevano in Istria con una certa armonia; è dopo il 1866, quando alla fine della terza guerra di Indipendenza si fanno più insistenti i movimenti nazionalisti, che l’Austria, presente dal 1814, per contenere il gruppo etnico italiano, gli concede maggiori privilegi rispetto a quello slavo. La scelta alimenta le tensioni fra le diverse etnie, ma è dopo il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), quando il confine orientale vede annessi all'Italia territori ad etnia mista italo-croata e italo-slovena che le tensioni diventano ancora più forti. Infatti, a seguito del nuovo assetto politico comincia l’italianizzazione delle “terre irredente”: da altre regioni arrivano funzionari ed impiegati pubblici, che si sostituiscono a quelli locali, la lingua ufficiale diventa l’italiano, dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati; se l’effetto di tali cambiamenti è relativamente doloroso nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza e dove bi e trilinguismo erano la norma; questi cambiamenti vengono mal accolti nelle zone rurali e nell’interno, dove gli slavi si ribellano violentemente alle imposizioni del Regno d’Italia

I fatti del 43/45

L'uso delle foibe per occultare i cadaveri durante e la seconda guerra mondiale avvenne in due distinti periodi. Il primo risale al ’43, immediatamente dopo l’8 settembre quando l'Istria interna diventa terra di nessuno perché i tedeschi, impegnati ad occupare i centri strategici di Trieste, Pola e Fiume, trascurano l'entroterra per carenza di forze. Ad una prima fase “spontaneista” e che fu un fatto di giustizia popolare sommaria, perché la popolazione dell’Istria slava, vedeva in queste azioni il proprio riscatto dopo le oppressioni patite dall’etnia italiana (ma anche per regolare questioni di interesse personale), ne seguì un'altra, contrassegnata dal riuscito tentativo degli organi del Movimento popolare di liberazione jugoslavo di assumere il pieno controllo della situazione militare e politica, grazie anche all'arrivo in Istria di forze partigiane e quadri dirigenti del Partito comunista croato. In quella circostanza le vittime furono cittadini del gruppo etnico italiano, rei di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti e della colpa di essere italiani. In questa fase le vittime furono: non più di 600 secondo le autorità italiane, migliaia secondo la Wehrmacht ed alcuni testimoni italiani, stando a quanto riportato dai tedeschi dopo la ripresa del controllo del territorio istriano da parte della Germania nazista. Ben più sanguinoso fu invece lo sterminio che ebbe luogo tra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 e che si svolse principalmente nelle città di Trieste e di Gorizia. Tra marzo e aprile anglo-americani e jugoslavi sono impegnati nella corsa per arrivare primi a Trieste, il 28 aprile 1945, Mussolini viene ucciso dai partigiani a Dongo (Co) le armi tacciono. All'alba del 30 aprile 1945 Trieste imbraccia le armi contro i Tedeschi. Tra le migliaia d'insorti ci sono rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani, Militari dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Civica. A sera, dopo sanguinosi scontri a fuoco i "Volontari della Libertà", hanno il controllo di buona parte della città. Il 1° maggio, alle 9:30: Trieste viene “liberata” dalla IV armata di Tito: tra loro non c’è nessuna unità partigiana italiana. Gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj sono inequivocabili: «Epurare subito», «Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale», l’obiettivo era quello di sedersi al tavolo delle trattative degli alleati dopo essersi impossessato dell’Istria, Trieste e Gorizia fino all’Isonzo, ma soprattutto dopo aver “ripulito” il territorio dalla presenza italiana, in modo da legittimare la consegna di queste terre alla Jugoslavia. I "Volontari della Libertà" vengono disconosciuti, come i partigiani del CLN, costretti a rientrare nella clandestinità. Gli Slavi assumono i pieni poteri. Nominano un Commissario Politico, impongono il coprifuoco e dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia". In città vige il terrore. Ha inizio la tragedia, che si protrae per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia - fra il 2 e il 3 maggio - sia arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica, che assiste senza intervenire, in attesa di ordini da Londra.
L'otto maggio Trieste viene proclamata "città autonoma" della "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia". Si prelevano i cittadini dalle case, alcuni sono vittime di regolamenti personali, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti Combattenti della Guerra di Liberazione: agli occupatori preme dimostrare di essere i liberatori del capoluogo giuliano, ben presto si scopre che i prelevati finiscono nelle foibe o nei campi di concentramento di Tito. Iniziano arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze d'ogni genere, i triestini chiedono, invano l’intervento del Comando Alleato. Finalmente arriva l’ordine da Londra e gli Angloamericani intimano alle truppe slave di ritirarsi. Il 9 giugno a Belgrado, il Leader iugoslavo, verificato che Stalin non era disposto a sostenerlo nella presa di Trieste, fa arretrare le sue truppe e con il ritiro delle milizie slave ha termine il regime del terrore ed il massacro. Tito e il generale Alexander tracciano la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino: la prima sotto quello Angloamericano, la seconda sotto quello slavo. Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava.

Il rituale delle foibe

Le violenze alle quali i prigionieri vengono sottoposti prima dell'eliminazione sono indescrivibili: molti venivano evirati, altri torturati, con le donne si adottava la sevizia e o lo stupro. Nelle località costiere si procedeva agli annegamenti collettivi: legati l'uno all'altro col filo dì ferro e opportunamente zavorrati con grosse pietre, i prigionieri venivano portati al largo su grosse barche e gettati in mare. Ma il metodo più diffuso per sbarazzarsi dei cadaveri fu quello dell'infoibamento: considerato più pratico e facilmente occultabile. Caricati su autocorriere o su autocarri requisiti, i prigionieri venivano portati, preferibilmente di notte, nelle vicinanze di una foiba. Ad essi venivano legati, con filo di ferro stretto da pinze, i polsi sul davanti, se erano vestiti si ordinava loro di alzare le braccia e di sollevare sul capo la giacca in modo da coprirsi il volto. Le donne dovevano nascondersi il volto con la sottana. Avvicinati i prigionieri sull'orlo della foiba a gruppi, si procedeva all'esecuzione, sparando un colpo di arma da fuoco alla nuca, al volto o al torace delle vittime: i corpi venivano poi fatti precipitare nel baratro. A volte i condannati vennero posti l'uno di fianco all'altro, spalla contro spalla, e legati all'altezza delle braccia con il filo di ferro, a due a due o a gruppi più consistenti. Ammassati tutti sul ciglio, si sparava ai più vicini al precipizio in modo che, cadendo nel vuoto, trascinassero gli altri ancora vivi. Per impedire ogni ricerca e identificazione, talvolta i prigionieri venivano condotti nudi sul luogo dell'esecuzione. A volte, dopo l'infoibamento, si facevano brillare delle mine in prossimità dell'apertura della voragine, ottenendo in tal modo il franamento e l'ostruzione della cavità.
Un altro macabro rituale caratterizzava questi orrendi massacri: dopo l'infoibamento delle vittime veniva lanciato sul mucchio dei cadaveri un cane nero vivo: secondo un'antica leggenda balcanica, l'animale "latrando in eterno toglieva per sempre agli uccisi la pace dell'aldilà".

Il numero delle vittime

E’ difficile fare una stima esatta delle vittime; i ritrovamenti sono stati parziali, considerando la difficoltà dei recuperi, l’impossibilità di effettuarli nelle foibe site nell’ex Jugoslavia ed anche perché tutti i documenti anagrafici sono andati completamente distrutti (in linea con il principio di far scomparire qualsiasi traccia della presenza italiana). Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5.000 il numero dei morti. Per il tenente colonnello inglese De Gaston, capo del “Patriots Office”, i soli infoibati furono circa 9.800, di cui oltre 4.000 civili, donne e bambini compresi. Da un'indagine più precisa del Centro studi adriatici, diretto da Luigi Papo, raccolta in un albo pubblicato nel 1989 le vittime sono 10.137: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti, 3.174 morte nei campi di concentramento iugoslavi; una stima totale, sempre secondo tale centro di studi, è di circa 17.000 vittime, comprendendo i morti nei campi di concentramento e fucilati, che probabilmente furono poi occultati nelle foibe.

I profughi dalmati

Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l'Esodo di 350.000 fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in un'Italia sconfitta e semidistrutta. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila.
Questi 350.000 italiani furono gli unici a pagare il prezzo della sconfitta italiana nella seconda guerra; cancellati dai libri, dai dibattiti politici e culturali, dai media, fino al 2004, quando la Repubblica italiana riconosce le tragedie del confine orientale con una giornata: il 10 febbraio 1957 quando l’Italia cedeva alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia nel Trattato di Parigi, dedicata al ricordo delle Foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmato.

Islamici e latinos uccisi : Torna il Ku Klux Klan


Risorge il Ku Klux Klan (KKK) i cappucci bianchi che per quasi un secolo, a cavallo del 900, terrorizzarono la popolazione nera del profondo sud. Il Ku Klux Klan fa nuove reclute denunciando l’immigrazione clandestina o «invasione illegale messicana» come la chiama il su leader Phil Lawson.
LA RESURREZIONE DEL KLAN - Secondo il Southern poverty law center, un’associazione dei diritti civili che ne segue l’attività, i gruppi che lo compongono sono saliti da 110 nel 2000 a 150 l’anno scorso. Ammonisce la Anti defamation league, un’associazione che combatte l’antisemitismo e il razzismo: «La resurrezione del Ku Klux Klan è inquietante. Sfrutta la psicosi dell’assedio causata dalla guerra al terrorismo per seminare l’odio». William Aponte, l’agente dell’Fbi incaricato della protezione dei diritti civili nel profondo sud, definisce i reclutamenti nel Ku Klux Klan «massicci». «Per un biennio dopo la strage delle Torri gemelle di Manhattan» spiega «i cosiddetti cavalieri bianchi fecero proseliti tra chi temeva gli islamici. Ora li fa tra chi vede negli immigrati clandestini un pericolo per il proprio posto di lavoro, un fattore di inquinamento della società».
ADEPTI IN AUMENTO - Aponte non sa quanti membri abbia il Ku Klux Klan, ma ne denuncia le crescenti manifestazioni «soprattutto nel Texas, nell’Indiana e nello Iowa». Lawson, che si presenta come «il mago imperiale», parla di migliaia e migliaia di nuovi adepti, senza precisare quanti: «Con il governo che permette agli illegali di entrare negli Usa liberamente, il nostro numero cresce di giorno in giorno» afferma. L’Fbi teme che il ritorno del Ku Klux Klan, colpevole delle più orrende impiccagioni dei giovani neri della storia Usa, esasperi la guerra occulta di frontiera in corso sui clandestini. Ieri in Arizona un gruppo di 4 banditi armati e mascherati ha attaccato un furgone carico di immigrati uccidendone tre e ferendone gravemente due. Il giorno primo, lo stesso o un altro gruppo aveva aggredito e derubato altri illegali ma senza fare vittime. Stando all’Fbi, incidenti del genere sono in aumento da alcuni mesi, e non è chiaro se si tratti di bande ispaniche, di vigilantes americani – gente che vuole chiudere i confini – o di razzisti.

9 febbraio 2007

Sgrena e Calipari : Obiettivi Sensibili


Calipari era contrario alla linea Usa nelle trattative. La Sgrena indagava sull'uso di armi illecite da parte degli statunitensi. Il “tragico incidente” ha le caratteristiche di un agguato. Al momento della sparatoria Calipari era al telefono coi vertici dello Stato. I telefoni di Calipari scompaiono per qualche giorno. Troppe stranezze nella vicenda che ha coinvolto gli italiani in Iraq.
L'ipotesi del tragico incidente avanzata dagli USA ha cominciato a vacillare quando Giuliana Sgrena ha raccontato la sua verità. L'avvertimento dei suoi stessi rapitori (“Attenta…gli americani non vogliono che torni”) si è rivelato più che fondato. Giuliana Sgrena e Nicola Calidari hanno subito un vero e proprio agguato. Ma perché?
Obiettivo: Nicola Calipari
Nicola Calipari era un agente molto esperto. Aveva moltissimi contatti tra le bande di rapitori in Iraq e una grande esperienza nella mediazione, nella trattativa con terroristi o chi per loro. La sua esperienza era fuori discussione, aveva già contribuito a salvare decine di ostaggi.
Perché gli ostaggi italiani vengono liberati in numero molto più sostanzioso rispetto agli americani? Perché il governo italiano è disposto a pagare. Le due Simone sono state liberate dietro compenso, e non solo loro. Linea morbida, dunque. Purché gli ostaggi restino in vita e tornino a casa sani e salvi.
Gli USA hanno scelto invece tutta un'altra linea: non si tratta con i terroristi. "Linea dura" senza se e senza ma. Le modalità di trattativa italiane arrivano ad interessare il regime di Bush nel momento in cui i media americani evidenziano questa disparità, dovendo essere costretti sempre a parlare di liberazioni di italiani e decapitazioni di americani. Per l'opinione pubblica e l'appoggio internazionale alla guerra, questa disparità significa un vero e proprio ostacolo anche in prospettiva di altre guerre nella zona mediorientale.
Come abbiamo già detto, l'uomo che più di ogni altro contribuiva al buon funzionamento della "linea morbida" italiana era Nicola Calipari. I suoi telefonini erano ricchissimi di contatti.
Quale sia stato l'ordine impartito ai marines di Baghdad non possiamo saperlo. Certo è che Calipari era un obiettivo sensibile. L'uomo che faceva la differenza tra due modi diversi di gestire una situazione di guerra.
Obiettivo: Giuliana Sgrena
Da qualche tempo Giuliana Sgrena si trovava in Iraq per indagare. Quelle buche incredibilmente grandi nel suolo di Falluja facevano pensare all'uso di bome al napalm, come quelle usate dagli americani in Vietnam. Stava indagando con precisione, intervistando anche la martoriata popolazione di Falluja. Gli abitanti del villaggio di Saqlawiya (vicino Falluja) raccontano di aver seppellito molti cadaveri completamente carbonizzati.
Il dottor Khalid ash-Shaykhili parla di totale distruzione dell'ambiente, di uso di sostanze chimiche e gas tossici. Le prove dell'utilizzo degli americani di sostanze illecite ci sono eccome.
D'altronde prendere la roccaforte sannita era un obiettivo importante per gli USA. Sarebbero stati disposti a tutto pur di raggiungere l'obiettivo. È la guerra.
Un'indagine scomoda, dunque, quella di Giuliana Sgrena. Pochi hanno parlato di "uso di armi illecite": tra questi c'è però una deputata del partito laburista inglese, che dichiara "Visto che abbiamo la possibilità di fare domande, ma non ci viene permesso di aprire una discussione, voglio dire che questa guerra è illegale. Perché non ci sono più immagini di persone che vivono a Falluja? Che tipo di armi sono state usate?".
E in effetti, immagini di Falluja non se ne hanno più. Sarà perché ci sono ancora cadaveri a cielo aperto, sarà perché gli americani stanno ricoprendo tutte quelle grosse buche nel terreno.
Alla luce di questo, quella frase dei rapitori assume tutto un altro significato: "Gli americani non vogliono che torni".
L'agguato
Mentre si dirigevano verso l'aeroporto, i tre (c'era anche un "terzo uomo" ) erano in contatto telefonico satellitare ( si badi al particolare ) con Palazzo Chigi. Al momento della sparatoria, i telefoni erano accesi e in contatto diretto coi vertici dello Stato italiano. Si sono sentiti gli spari. Calipari viene ucciso, gli altri due feriti. Poi gli americani si accorgono dei telefoni accesi e salta tutto il piano. A quel punto si può fare ben poco. Fatto sta che scompaiono per un po' di tempo: la macchina crivellata di colpi, i telefoni di Calipari e le armi degli italiani. Ricompaiono un po' di tempo dopo. Gli inquirenti dovranno tenere conto anche della possibilità di inquinamento delle prove. Resto sempre della mia opinione, il Cermis forse è un acronimo, Nicola Calipari é solo un morto.

4 febbraio 2007

Libertà di Stampa : Dal 74° al 79° posto nella classifica! Sfida agguerrita con il Botswana!


FREEDOM HOUSE PUBBLICA LA CLASSIFICA PER LA LIBERTA' DI STAMPA, L'ITALIA VIENE DEFINITA "PARTLY FREE" (PARZIALMENTE LIBERA) E A PARI POSTO CON IL BOTSWANA, PIU' IN ALTO IN CLASSIFICA: COREA DEL SUD, MONGOLIA, ISRAELE E MOLTI ALTRI ANCORA...

E' una grande disfatta , un peggioramento nel ranking non se lo aspettava nessuno, il 74° posto del 2004 sembrava già una grande sconfitta per il giornalismo italiano e per la popolazione italiana in generale, ma non c'è limite al peggio e la classifica di Freedom House evidenzia che l'Italia sta raschiando il fondo. Passi essere dietro a Fillandia, Stati Uniti d'America e Francia, ma essere alla pari con il Botswana e dietro a Namibia, Trinididad & Tobago e la Corea del Sud è davvero troppo. Passi essere dietro alle potenze del centro e del nord Europa, ma dal rapporto si deduce che l'Italia è il peggiore anche tra le nazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo: 59^ la Grecia a pari posto con il Ghana e altre nazioni, 41^ la Spagna, ma per fortuna salviamo la faccia almeno davanti alla Croazia 85^ e all'Albania 107^. Questo documento è una spinta ancora maggiore per blogger, giornalisti fai da te (meglio che lasciar far da loro), che almeno sono liberi, dicono quello che pensano e scrivono quello che davvero credono, senza il bisogno di soddisfare editor, contratti pubblicitari e grandi sponsor. Il giornalismo vero non è più quello della carta stampada, ma quello di siti web com Comincia L'Italia, fatto dai cittadini per i cittadini, con un solo e unico fine: informare e far sentire la propria voce.



Scarica la classifica pubblicata da Freedom House

Catania-Palermo: Vergogna!!!


Filippo Raciti,ispettore capo della Polizia di Stato è morto a causa di una bomba-carta scoppiatagli in viso. Un altro poliziotto è grave. Decine di feriti e contusi, scene di guerriglia urbana, quartieri che diventano un inferno.
E’ accaduto a Catania per una partita di calcio col Palermo. Ma la sensazione, mentre scrivo queste note a caldo, è quella del deja vu. Sono cose che abbiamo già visto. Queste scene non sono nuove, persino per una partita di calcio, e sono accadute anche all’estero, anche in Paesi molto più civili del nostro. Anche le frasi che stiamo ascoltando, provenienti da autorità politiche e sportive, non sono nuove. Anche queste le abbiamo già ascoltate.La cosa più triste è proprio questa specie di rassegnazione che avverto dentro di me, questo abituarsi a tutto, questa “banalità del male”, come l’avrebbe definita la filosofa Hannah Arendt.
Il fatto è che siamo stufi di decenni di discussioni sterili. Ero un bambino quando già a Roma moriva gente per razzi sparati da una curva all’altra dello stadio. Ero un uomo quando ci furono le tragedie dell’Heysel e di Sheffield: diverse realtà, diverse circostanze, diversi Paesi, ma lo stesso dramma,un copione che si ripete.In Gran Bretagna, Paese civilissimo, la violenza sportiva era una piaga già negli anni Settanta, e alla fine si arrivò al punto di bandire dalle competizioni europee le squadre inglesi e i loro hooligans per anni.Ecco perché sono sfiduciato e amareggiato. Perché non riesco più ad illudermi; almeno non su questo.Da anni si parla di isolare i violenti; si varano leggi e regolamenti appositi, poi bellamente aggirati. Si vendono biglietti nominativi, teoricamente unici, e poi si vedono normalmente i bagarini acquistarne centinaia. Come fanno? A me sequestrano all’ingresso un accendino di valore, e poi i delinquenti entrano con coltelli, bombe-carta, fumogeni. La bottiglia d’acqua deve avere il tappo svitato, per carità, e poi in campo arrivano i servizi igienici. Bisogna veramente pensare che lo sport sia morto, se ci sono centinaia di persone che vanno allo stadio con lo scopo di menare le mani, sfasciare tutto e tirare petardi grossi come bombe. Una rabbia stupida e davvero incomprensibile, che non ha neanche la spiegazione del disagio sociale o dell’ideologia politica.
Abbiamo anche un problema di tenuta dell’ordine pubblico, in Italia: le forze dell’ordine non sono in grado di arginare neanche la micro-criminalità a Napoli, e non riescono a controllare tifoserie facinorose a Catania! Siamo quindi in balìa di ogni tipo di teppismo? Adesso assisteremo ad un altro balletto di buoni propositi, disegni di legge, inasprimenti di pene, vari di regolamenti, sanzioni a 360 gradi, ripensamento dell’attività sportiva. Una farsa grottesca, ma drammatica stavolta perché c’è scappato il morto: un lavoratore con famiglia a carico, un vero proletario secondo la celeberrima classificazione di Pasolini, che simpatizzava per i poveri poliziotti e non per i figli di papà che giocavano a fare la rivoluzione. E’ stato decretato lo stop ai campionati: lo ha deciso il commissario straordinario della Federcalcio, questo mondo anche istituzionalmente travolto dagli scandali (nonostante la valvola salvifica della vittoria del Mondiale), marcio fin dalle fondamenta.Decisione giusta, di rottura, tesa a creare il caso.
Ma resto sfiduciato. Penso alle volte che, davvero, la violenza negli stadi si spegnerà quando non ci sarà più pubblico ad un evento sportivo; quando la partita la potremo vedere solo in televisione, naturalmente sul satellite, perché di gratis ormai non ti danno più niente. Neanche la Rai col suo maledetto canone e i suoi disgustevoli programmi.

3 febbraio 2007

DA VICENZA A SIGONELLA ECCO GLI APPALTI …..“ROSSI”


Località:Sigonella-Italia
Progetto: Fabbricati abitativi nella Base militare di Sigonella (NAS1-NAS2, Mega III) opera in corso(nella foto)
Ente: U.S.Navy
Importo Stimato: 52,3 milioni di Euro (NAS1-NAS2); 20,7 milioni di Euro (Centro Comm.le); 76,3 milioni di Euro (Mega III)

Gli affari con il Pentagono delle coop legate alla sinistra. Tra i
pretendenti ai lavori della nuova base vicentina la Cmc di Ravenna e
la Cmr di Ferrara. Spuntano anche Pizzarotti e la Ccc del Mose
Nell'ex aeroporto vicentino Dal Molin per il momento tutto ancora
tace, di ruspe non c'è ancora ombra anche se ieri l'ex generale
Luigi Ramponi ha annunciato che «i lavori cominceranno entro il
2007». E' probabilmente informato, il deputato di An ieri in visita
a Vicenza con la commissione Difesa del senato, visto che il
presidente del suo partito Gianfranco Fini è reduce da un incontro
con la segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, con la quale ha
parlato anche della base vicentina. E per questo afferma che «appena
il governo avrà detto di sì partiranno gli appalti, anche perché ci
sono tempi stretti per il finanziamento statunitense». Per ora
l'unico elemento tangibile che mostra l'avvio del progetto per la
costruzione della nuova base è la lista delle imprese che continuano
a iscriversi alla gara d'appalto per la prima tranche dei lavori. La
torta è infatti di quelle appetitose: 680 milioni (230 nella prima
fase, il rimanente in una seconda) di investimenti previsti dal
Pentagono per costruire i 700 mila metri cubi di caserme, impianti
militari e logistici; 40 milioni per la costruzione di 61 villette a
schiera, di un albergo (10 milioni) e un campo da bowling; 52
milioni per tirar su un ospedale che sarà collegato con quello
vicentino. Il progetto prevede infatti la nascita di una vera e
propria cittadella autosufficiente, con centri commerciali e
palestre, case e una grande mensa per 1.300 persone e 454 posti a
sedere. A spulciare tra le 73 imprese (23 delle quali venete) che
finora hanno risposto alla «presolicitation notice», una specie di
invito a partecipare alla gara d'appalto lanciato dagli Stati uniti
il cui bando si chiuderà il 6 marzo, troviamo infatti «coop rosse»
come la Cmc (Cooperativa muratori cementisti) di Ravenna e la Cmr
(Cooperativa muratori riuniti) di Ferrara, ma anche la contestata
Pizzarotti di Parma, la stessa che nell'83 aveva vinto la gara per
l'installazione dei missili Cruise a Comiso e che da 25 anni
costruisce anche a Sigonella. O ancora la Ccc (Cantieri costruzioni
cemento) Spa, che tra i suoi fiori all'occhiello vanta la
partecipazione al Consorzio Venezia nuova che sta realizzando il
Mose nella città lagunare. Non che sia una novità assoluta, la
partecipazione di cooperative rosse a lavori per gli americani. Se è
vero che nelle basi Usa in Italia resiste ancora una «pregiudiziale
anticomunista» che impedisce ai lavoratori civili del nostro paese
di iscriversi ad esempio alla Cgil (come l'altro ieri ha denunciato
lo stesso sindacato di Corso d'Italia), è altrettanto vero che
questa appare caduta ormai da tempo per quel che riguarda il fronte
degli appalti, così come, viceversa, sull'altro versante di fronte
ai dollari non c'è antiamericanismo che tenga. La Cmr lavora infatti
da anni e con successo nelle basi Usa di Aviano, Camp Darby e nella
stessa Vicenza. Mentre la Cmc, la prima cooperativa di costruzioni,
la quarta impresa in Italia del settore, dopo alcuni appalti in
Cina, il ruolo da general contractor per l'ammodernamento della
Salerno-Reggio Calabria e l'appalto per il tunnel di Venaus che un
anno fa provocò la rivolta della Val di Susa contro l'alta velocità,
da almeno un decennio partecipa agli appalti legati alla base Usa di
Sigonella, in Sicilia. In particolare, ha preso parte al cosiddetto
piano Mega II, quello precedente all'attuale progetto che punta a
ridisegnare l'assetto urbanistico dell'insediamento militare
siciliano, che sarà trasformato «nella base più moderna del teatro
Mediterraneo».

2 febbraio 2007

Traffico di minori: uno scandalo di nome Panaf

Avete un bimbo un po’ fastidioso e pochi soldi per blandirlo a colpi di cioccolate e suonerie per telefonini? La soluzione c’è....vendetelo in Nigeria e rifatevi una vita. Tutto perfettamente legale. E non crediate di essere dei mostri. Se volete eccedere c'è anche la possibilità di mandare il piccolo rompiscatole in vacanza in Mozambico, dove ve lo squartano, ne vendono i pezzi di ricambio e vi pagano la vostra percentuale su una banca di vostro piacimento. Già vi vedo con gli occhi increduli: ma che dice questo pazzo? Ok! Se non mi credete telefonate allo 001-770-4399809. Risponde il Panaf Nite Club di Doraville, Stato della Georgia (U.S.A.)

L'addetto allo “smistamento” si chiama Ugo Onyemaobi, ed è uno che non scherza, abituato a scelte impopolari. E’ lui, novello Salomone, a decidere sulla sorte dei pargoli: chi è carino, a prescindere dal sesso, viene affidato ad intermediari per pedofili russi ed arabi.
Chi è bruttino, a prescindere dal sesso, è destinato alle guerre d'Africa, alle miniere di diamanti o alla schiavitù in Arabia Saudita. Il Panaf è collegato con una potente organizzazione di nigeriani e liberiani che prospera nelle città di Doraville, Marietta, Stone Mountain e Peachtree City - bei nomi pieni di dolcezza in una terra diretta col pugno di titanio da estremisti cattolici di tutte le razze, divisi in sette apocalittiche da far rabbrividire un mujaheddin.
Le ditte che si occupano della "trasposizione della massa lavoratrice" si trovano soprattutto in Africa: in Nigeria e Liberia, ma anche in Senegal, in Guinea, in Ghana, in Sierra Leone, in Libia. A coordinarle ci sono due gentiluomini d'altri tempi: Eugene Opara (proprietario del Panaf, referente dello stato federato nigeriano di Imo per gli Stati Uniti d'America e segretario particolare dell'ex dittatore liberiano Charles G. Taylor) e Foday Saybana Sankoh, generalissimo del RUF (Revolutionary Unity Front, un'esercito mercenario che difende i comuni interessi libici, americani e russi nei campi di diamanti disseminati tra la Sierra Leone e la Liberia ), che abita in una suite all'Hotel Deux Fevrier a Lomè, la capitale del Togo.
Potete vendere i vostri scavezzacolli senza preoccupazioni legali. Se volete eccedere in prudenza, dopo averli consegnati, potete denunciarne la scomparsa all'assicurazione ed alla polizia.
Dato che l'Unione Europea non ha ancora reso obbligatori i chips elettronici iniettati nel collo (ci sono, li fanno una società legata alla famiglia Bin Laden ed una società tedesca fondata dal regime nazista nel 1933), nessuno potrà mai rintracciare il minore. Se sopravvive, avrà imparato una severa lezione sulla vita, le buone maniere, molta disciplina, ed avrà un mestiere sicuro per il futuro.
Se ci sono società italiane che aiutano? Capisco, certo, non siete molto familiari con le lingue straniere... Non è il caso di farne una malattia. A prescindere dal fatto che molti impiegati libici parlano fluentemente l'italiano, c'è una societuccia somala che appoggerebbe l'organizzazione di questi soggiorni di studio per bimbi che rompono. La gestisce a Mogadiscio un cugino di Said Omar Mugne - un vecchio amico di Bettino Craxi, da lui e dai suoi incaricato di portare la pace (a cannonate) e la prosperità (seppellendo materiali radioattivi nelle campagne somale) dell'ex colonia italiana.
Non per altro, ma non vorrei che Berlusconi o chi per lui mi accusasse di non aver tenuto conto come si deve, nel pubblicizzare un mercato che cresce, il Made in Italy.
Chiedetelo al suo amico Beretta , che secondo la procura della Repubblica di Brescia rifornirebbe (involontariamente) Al Qaeda in Iraq con le pistole dismesse dai servizi segreti italiani. Non mi dite che siete disgustati!
Perchè ? Perchè il traffico di organi dei bambini esiste, come esiste quello degli adulti !Ma voi ,avete mai mosso un dito per far finire queste atrocità?