10 febbraio 2007

Foibe - 10 febbraio 2007- Giornata del Ricordo


Il termine«foiba» (dal latino "fovea", "fossa") veniva utilizzato per definire le numerose voragini (ne sono state censite 1.700) che sprofondano per centinaia di metri nelle viscere della terra, caratterizzate da cavità di ogni genere, cunicoli, grotte, acque che scorrono fra tortuosi, profondi meandri e che caratterizzano l'altipiano roccioso del Carso, un territorio che si estende su notevole parte della Venezia Giulia in provincia di Trieste, dell’Istria e della Dalmazia.

La convivenza fra Italiani e Slavi

Nel periodo della Serenissima Repubblica Veneta (1420/1797) le due etnie convivevano in Istria con una certa armonia; è dopo il 1866, quando alla fine della terza guerra di Indipendenza si fanno più insistenti i movimenti nazionalisti, che l’Austria, presente dal 1814, per contenere il gruppo etnico italiano, gli concede maggiori privilegi rispetto a quello slavo. La scelta alimenta le tensioni fra le diverse etnie, ma è dopo il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), quando il confine orientale vede annessi all'Italia territori ad etnia mista italo-croata e italo-slovena che le tensioni diventano ancora più forti. Infatti, a seguito del nuovo assetto politico comincia l’italianizzazione delle “terre irredente”: da altre regioni arrivano funzionari ed impiegati pubblici, che si sostituiscono a quelli locali, la lingua ufficiale diventa l’italiano, dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati; se l’effetto di tali cambiamenti è relativamente doloroso nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza e dove bi e trilinguismo erano la norma; questi cambiamenti vengono mal accolti nelle zone rurali e nell’interno, dove gli slavi si ribellano violentemente alle imposizioni del Regno d’Italia

I fatti del 43/45

L'uso delle foibe per occultare i cadaveri durante e la seconda guerra mondiale avvenne in due distinti periodi. Il primo risale al ’43, immediatamente dopo l’8 settembre quando l'Istria interna diventa terra di nessuno perché i tedeschi, impegnati ad occupare i centri strategici di Trieste, Pola e Fiume, trascurano l'entroterra per carenza di forze. Ad una prima fase “spontaneista” e che fu un fatto di giustizia popolare sommaria, perché la popolazione dell’Istria slava, vedeva in queste azioni il proprio riscatto dopo le oppressioni patite dall’etnia italiana (ma anche per regolare questioni di interesse personale), ne seguì un'altra, contrassegnata dal riuscito tentativo degli organi del Movimento popolare di liberazione jugoslavo di assumere il pieno controllo della situazione militare e politica, grazie anche all'arrivo in Istria di forze partigiane e quadri dirigenti del Partito comunista croato. In quella circostanza le vittime furono cittadini del gruppo etnico italiano, rei di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti e della colpa di essere italiani. In questa fase le vittime furono: non più di 600 secondo le autorità italiane, migliaia secondo la Wehrmacht ed alcuni testimoni italiani, stando a quanto riportato dai tedeschi dopo la ripresa del controllo del territorio istriano da parte della Germania nazista. Ben più sanguinoso fu invece lo sterminio che ebbe luogo tra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 e che si svolse principalmente nelle città di Trieste e di Gorizia. Tra marzo e aprile anglo-americani e jugoslavi sono impegnati nella corsa per arrivare primi a Trieste, il 28 aprile 1945, Mussolini viene ucciso dai partigiani a Dongo (Co) le armi tacciono. All'alba del 30 aprile 1945 Trieste imbraccia le armi contro i Tedeschi. Tra le migliaia d'insorti ci sono rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani, Militari dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Civica. A sera, dopo sanguinosi scontri a fuoco i "Volontari della Libertà", hanno il controllo di buona parte della città. Il 1° maggio, alle 9:30: Trieste viene “liberata” dalla IV armata di Tito: tra loro non c’è nessuna unità partigiana italiana. Gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj sono inequivocabili: «Epurare subito», «Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale», l’obiettivo era quello di sedersi al tavolo delle trattative degli alleati dopo essersi impossessato dell’Istria, Trieste e Gorizia fino all’Isonzo, ma soprattutto dopo aver “ripulito” il territorio dalla presenza italiana, in modo da legittimare la consegna di queste terre alla Jugoslavia. I "Volontari della Libertà" vengono disconosciuti, come i partigiani del CLN, costretti a rientrare nella clandestinità. Gli Slavi assumono i pieni poteri. Nominano un Commissario Politico, impongono il coprifuoco e dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia". In città vige il terrore. Ha inizio la tragedia, che si protrae per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia - fra il 2 e il 3 maggio - sia arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica, che assiste senza intervenire, in attesa di ordini da Londra.
L'otto maggio Trieste viene proclamata "città autonoma" della "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia". Si prelevano i cittadini dalle case, alcuni sono vittime di regolamenti personali, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti Combattenti della Guerra di Liberazione: agli occupatori preme dimostrare di essere i liberatori del capoluogo giuliano, ben presto si scopre che i prelevati finiscono nelle foibe o nei campi di concentramento di Tito. Iniziano arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze d'ogni genere, i triestini chiedono, invano l’intervento del Comando Alleato. Finalmente arriva l’ordine da Londra e gli Angloamericani intimano alle truppe slave di ritirarsi. Il 9 giugno a Belgrado, il Leader iugoslavo, verificato che Stalin non era disposto a sostenerlo nella presa di Trieste, fa arretrare le sue truppe e con il ritiro delle milizie slave ha termine il regime del terrore ed il massacro. Tito e il generale Alexander tracciano la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino: la prima sotto quello Angloamericano, la seconda sotto quello slavo. Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava.

Il rituale delle foibe

Le violenze alle quali i prigionieri vengono sottoposti prima dell'eliminazione sono indescrivibili: molti venivano evirati, altri torturati, con le donne si adottava la sevizia e o lo stupro. Nelle località costiere si procedeva agli annegamenti collettivi: legati l'uno all'altro col filo dì ferro e opportunamente zavorrati con grosse pietre, i prigionieri venivano portati al largo su grosse barche e gettati in mare. Ma il metodo più diffuso per sbarazzarsi dei cadaveri fu quello dell'infoibamento: considerato più pratico e facilmente occultabile. Caricati su autocorriere o su autocarri requisiti, i prigionieri venivano portati, preferibilmente di notte, nelle vicinanze di una foiba. Ad essi venivano legati, con filo di ferro stretto da pinze, i polsi sul davanti, se erano vestiti si ordinava loro di alzare le braccia e di sollevare sul capo la giacca in modo da coprirsi il volto. Le donne dovevano nascondersi il volto con la sottana. Avvicinati i prigionieri sull'orlo della foiba a gruppi, si procedeva all'esecuzione, sparando un colpo di arma da fuoco alla nuca, al volto o al torace delle vittime: i corpi venivano poi fatti precipitare nel baratro. A volte i condannati vennero posti l'uno di fianco all'altro, spalla contro spalla, e legati all'altezza delle braccia con il filo di ferro, a due a due o a gruppi più consistenti. Ammassati tutti sul ciglio, si sparava ai più vicini al precipizio in modo che, cadendo nel vuoto, trascinassero gli altri ancora vivi. Per impedire ogni ricerca e identificazione, talvolta i prigionieri venivano condotti nudi sul luogo dell'esecuzione. A volte, dopo l'infoibamento, si facevano brillare delle mine in prossimità dell'apertura della voragine, ottenendo in tal modo il franamento e l'ostruzione della cavità.
Un altro macabro rituale caratterizzava questi orrendi massacri: dopo l'infoibamento delle vittime veniva lanciato sul mucchio dei cadaveri un cane nero vivo: secondo un'antica leggenda balcanica, l'animale "latrando in eterno toglieva per sempre agli uccisi la pace dell'aldilà".

Il numero delle vittime

E’ difficile fare una stima esatta delle vittime; i ritrovamenti sono stati parziali, considerando la difficoltà dei recuperi, l’impossibilità di effettuarli nelle foibe site nell’ex Jugoslavia ed anche perché tutti i documenti anagrafici sono andati completamente distrutti (in linea con il principio di far scomparire qualsiasi traccia della presenza italiana). Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5.000 il numero dei morti. Per il tenente colonnello inglese De Gaston, capo del “Patriots Office”, i soli infoibati furono circa 9.800, di cui oltre 4.000 civili, donne e bambini compresi. Da un'indagine più precisa del Centro studi adriatici, diretto da Luigi Papo, raccolta in un albo pubblicato nel 1989 le vittime sono 10.137: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti, 3.174 morte nei campi di concentramento iugoslavi; una stima totale, sempre secondo tale centro di studi, è di circa 17.000 vittime, comprendendo i morti nei campi di concentramento e fucilati, che probabilmente furono poi occultati nelle foibe.

I profughi dalmati

Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l'Esodo di 350.000 fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in un'Italia sconfitta e semidistrutta. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila.
Questi 350.000 italiani furono gli unici a pagare il prezzo della sconfitta italiana nella seconda guerra; cancellati dai libri, dai dibattiti politici e culturali, dai media, fino al 2004, quando la Repubblica italiana riconosce le tragedie del confine orientale con una giornata: il 10 febbraio 1957 quando l’Italia cedeva alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia nel Trattato di Parigi, dedicata al ricordo delle Foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmato.

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