5 gennaio 2007
Vescovo di Varsavia: Spia comunista
Era stato nominato ufficialmente quale successore del cardinale Jozef Glemp alla guida della diocesi di Varsavia il 6 dicembre scorso, dopo un iter piuttosto lungo: la sua designazione, già decisa, era stata «congelata» per alcune settimane, e infine resa ufficialmente nota. Ora su monsignore Stanislaw Wielgus, classe 1939, fino a pochi giorni fa vescovo di Plock, in procinto di assumere la guida della diocesi di Varsavia, si è abbattuta una bufera. Il settimanale di destra Gazeta Polska ha accusato il nuovo arcivescovo – una delle personalità più eminenti della cultura polacca, già rettore dell’università cattolica di Lublino – di aver collaborato per vent’anni con la polizia politica comunista e di aver svolto per il governo del regime un «lodevole servizio». Pur avendo annunciato che esistono le prove di questo rapporto tra Wielgus e i servizi segreti polacchi, la rivista non le ha poi fornite, e questo è strano in un Paese dove, grazie al lavoro dell’Istituto per la memoria nazionale, escono centinaia di dossier. Wielgus, dal canto suo, non ha negato di essere stato contattato, ma ha dichiarato di non aver mai accettato le proposte della polizia politica e dunque di non avere mai fatto la spia per conto del governo.
Due giorni fa, la sala stampa vaticana ha reso noto uno scarno ma eloquente comunicato, facendo notare che la Santa sede «nel decidere la nomina del nuovo arcivescovo metropolita di Varsavia, ha preso in considerazione tutte le circostanze della sua vita, tra cui anche quelle riguardanti il suo passato. Ciò significa che il Santo padre nutre verso mons. Stanislaw Wielgus piena fiducia e, con piena consapevolezza, gli ha affidato la missione di pastore dell’arcidiocesi di Varsavia». Parole che spiegano come le accuse fossero note al Vaticano: il fatto che la nomina sia avvenuta comunque sta a significare che si è appurato la loro inconsistenza. Anche la presidenza della Conferenza episcopale polacca ha emesso una dichiarazione, nella quale si parla di «pubblica lesione del diritto alla buona fama di una concreta persona» e si definisce quanto accaduto come un «chiaro esempio di “lustrazione” selvaggia». «Lustrazione» è il termine tecnico per il procedimento di riconoscimento delle responsabilità di collaborazione con gli organi di sicurezza del regime comunista. «Tale situazione – continua la conferenza episcopale polacca – è specialmente offensiva nel caso di un ecclesiastico: infatti il semplice verificarsi di una conversazione di un sacerdote con gli esponenti dei servizi di sicurezza comunisti non può in se stesso attestare una collaborazione immorale».
Negli anni scorsi, i dossier emersi dalle ricerche dell’Istituto per la memoria nazionale avevano sollevato pesanti accuse nei confronti del padre domenicano Konrad Heymo, organizzatore dei pellegrinaggi polacchi a Roma e conoscente di Giovanni Paolo II. Il numero di preti che risultano assoldati come informatori, negli anni del regime comunista, è altissimo. Il 25 maggio scorso, proprio a Varsavia, incontrando il clero della città, Benedetto XVI aveva fatto riferimento a questo problema dicendo: «Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti precomprensioni di allora».
Dagli archivi della polizia segreta, nel 2001, erano uscite molte carte che mostravano con quale attenzione i servizi polacchi seguissero i passi di Karol Wojtyla, fin da quando era parroco. Da arcivescovo, il futuro Papa era tenuto sott’occhio da sacerdoti-spie. «Questo si è sempre saputo – ha dichiarato Stanislaw Dziwisz, segretario di Giovanni Paolo II – c’erano anche molte microspie. Per questo quando si doveva parlare di argomenti riservati, il cardinale invitava sempre i suoi interlocutori a fare una passeggiata all’esterno».
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