4 dicembre 2006

Lo rivelano un dossier riservato e l’Agenzia atomica internazionale.Siluri nucleari sganciati sotto la costa napoletana nel 1970 .

Venti siluri nucleari depositati nel 1970 da un sottomarino russo sotto la costa del golfo di Napoli. Venti missili che nessuna autorità italiana ha mai ufficialmente cercato, rimanendo avvolti per trent’anni nel mistero. Fino al 12 novembre scorso, quando il responsabile della Protezione civile Giudo Bertolaso ha ricevuto un dossier riservato.A consegnarglielo è stato Mario Scaramella, consulente della commissione Mitrokhin e membro del Research Institute all’Università californiana di San José. Una nota che iniziava così: “Il 10 gennaio 1970 un sottomarino nucleare della classe November distaccato presso la quinta squadra (Mediterraneo) della marina sovietica viene comandato dal GRU (intelligence militare centrale dell’Urss) e dalla competente Ru (intelligence navale) di allocare un numero imprecisato di siluri atomici tattici nel golfo di Napoli. Il sottomarino”, si spiega, “era armato con ventiquattro siluri nucleari per un impiego anti-nave-portaerei o anti-sommergibile. Sono stati utilizzati nello specifico per minare l’area dove sono di stanza le unità della sesta flotta della marina degli Stati Uniti (…). Il medesimo sommergibile è affondato tre mesi dopo l’operazione nell’Atlantico del nord-est con un carico di soli quattro siluri nucleari, dunque si presume la allocazione nel golfo di Napoli di soltanto 20. Le aree di allocazione sono in parte conosciute, le coordinate precise di allocazione sono conoscibili e riscontrabili…”.
Lette queste parole, il capo della Protezione civile Bertolaso ha contattato i nostri servizi segreti e le forze armate, mettendo a disposizione il dossier ricevuto. Il ministero della Difesa, chiamato ripetutamente da “L’espresso”, ha però negato un chiarimento col titolare Antonio Martino. Più disponibile è stato Bertolaso, il quale a registratore acceso spiega: “Gli addetti della forze armate mi hanno assicurato che stanno studiando la questione. Mi hanno anche detto che la conoscono da sempre e non hanno conferme”. Il che pone due domande. La prima: Se davvero conoscono da sempre l’episodio, in che modo i militari si sono preoccupati di verificarlo? E soprattutto: Sono in grado, al momento, di smentire con assoluta sicurezza la potenziale minaccia atomica?
La risposta, al momento, non c’è. C’è invece, nel documento ricevuto da Bertolaso, la ricostruzione dello scenario strategico prima del 1973, quando Usa ed Urss misero a punto i trattati bilaterali per limitare lo sviluppo dei missili strategici. “Gli studi effettuati dalla commissione Mitrokhin assieme ad IMO (International maritme organization), ECPP (Enviromental crime prevetion program, struttura presieduta dall’Agenzia federale americana per l’ambiente) e IAEA (International atomic energy agency) col contributo di alcuni Stati mediterranei, mostrano che l’allocazione in zone costiere strategiche di ordigni nucleari appare probabile”, si legge. È inoltre “noto il massiccio uso di scorie radioattive collocate dall’intelligence sovietica in aree di interesse strategico”, nonché, “il massiccio affondamento di materiale radiologico in prossimità di basi americane e il contestuale impiego del KGB per sollevare scandalo contro la marina degli Stati Uniti”.
Verità imbarazzanti? Propaganda antisovietica? Ipotesi senza prove? Tante sono le possibilità e i punti da chiarire. “Innegabile”, dice il consulente Mario Scaramella, “è che nel 2001 l?international atomic energy agency ha inserito nel dossier “Tecdoc-1242 Inventory of accidents and losses at sea involving radioactive material (Elenco dei casi e delle perdite in mare di materiale radioattivo) il caso dei missili sganciati nel golfo di Napoli. Il documento”, continua Scaramella, “riporta la postilla “not confirmed”, a indicare che l’Unione Sovietica non ha potuto confermare ufficialmente l’episodio. Ma non l’ha smentito, e l’informazione è stata girata a tutte le ambasciate di Vienna (dove ha sede la IEA, ndr) dei paesi aderenti l’Agenzia atomica internazionale, inclusa quella italiana”.
Una segnalazione talmente autorevole, dicono gli esperti di questioni radioattive, che avrebbe dovuto essere prese in considerazione. Anche per il fondamentale aspetto di sicurezza che un caso del genere solleva. Secondo il capo della protezione civile Bertolaso “si tratta di una questione di una certa rilevanza, per la quale ho incaricato un nostro ufficio di calcolare le percentuali di rischio”. Detto questo si dichiara “tranquillo, certo che la popolazione non corre pericoli. Dopo trent’anni”, sostiene, “i siluri non potrebbero avere efficacia bellica. Il vero problema è la dispersione di materiale radioattivo per corrosione, ma sono cose che richiedono più di trent’anni”. “Un’ipotesi tecnicamente ragionevole”, la definisce Giovanni Damiani, ex direttore dell’agenzia nazionale per l’ambiente e oggi docente di chimica ambientale all’Università della Tuscia: “È vero che i tempi di logoramento di questi ordigni marini sono lunghi. È anche vero però che bisogna intervenire subito, fino a quando il materiale è confinato, ovvero contenuto negli involucri originali ed integri. In caso di rottura, che non si può escludere a priori anche per eventi accidentali, si rischierebbe una dispersione fuori controllo, un’espansione che impedirebbe qualunque reale bonifica”.
Lo stesso documento Tecdoc-1242 dell’Intenational atomic energy agency inseriva nel 2001 il caso del golfo di Napoli tra i “casi che risultano avere effettivo o potenziale rilascio nell’ambiente marino”. Eppure per tre anni, malgrado la notizia fosse nota alle nostre istituzioni, non è successo nulla. La questione è tornata in auge soltanto nel novembre del 2003, alla ventinovesima riunione dei paesi promotori della Convenzione di Londra, nata nel 1972 per combattere l’affondamento di sostanze radioattive. In quell’occasione un membro dell’ECPP ha rivelato di aver avviato la ricerca dei missili atomici nel golfo di Napoli. Non solo. L’International maritme organization ha dichiarato che tutte le informazioni contenute nel report Aiea-Tecdoc-1242 risultavano “interamente confermate” dai “governi rilevanti”, afferma Scaramella, “s’intendevano quello russo ed americano. Entrambi non nominati per ragioni diplomatiche, ma protagonisti dei lavori fornendo elementi di riscontro informale”.
Ora la faccenda è più scomoda che mai. Dice il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso: “Mi auguro di non dover cercare quei missili nel golfo di Napoli. Temo che li sotto ci sia di tutto, dalle carcasse di automobile in su. I tecnici a cui mi sono rivolto hanno confermato che trovare i siluri sarebbe un’operazione estremamente difficile, anche per le caratteristiche vulcaniche della zona”. “Ciò non toglie”, dice Paolo Guzzanti presidente della commissione Mitrokhin, “che la situazione vada sbloccata al più presto. Ci troviamo di fronte ad fatto di evidente delicatezza, dunque sarà mio impegno contattare le Forze armate e chiedere che venga svolta la bonifica del golfo di Napoli”.
Elementi da cui partire ci sono. Nel 1997 l’Enviromental crime prevetion program, finanziato dalla regione Campania e spalleggiato dalla Guardia Costiera, svolse nell’area una serie di verifiche sull’inquinamento radioattivo e chimico da nucleare. L’esito fu negativo, ma le ricerche non si sono fermate. “Attualmente sono stati individuati i così detti fondali d’interesse particolare”, racconta Scaramella: “Si va da Sorrento a Positano, da Castellamare di Stabia a Ercolano, passando per il porto di Napoli, Ischia e Gaeta”. Le coordinate dei missili non sono ancora disponibili, dice il consulente della commissione Mitrokhin: “Posso però dire che abbiamo rilevato anomalie elettromagnetiche in vari punti. Dati che stiamo analizzando con gli ex ufficiali dei servizi segreti russi che allora seguivano questo tipo di missioni”.
Meno collaborativi, secondo Mario Scaramella, è stata la nostra Guardia Costiera. Racconta il consulente della commissione Mitrokhin che nell’ottobre 2004 andò a trovare l’ammiraglio Luigi Cacioppo, comandante del porto di Napoli: “Affrontai nello specifico la questione dei missili russi perché mi servivano riscontri”, spiega: “Inoltre chiesi la disponibilità di un ufficio per consultare eventuali documenti, e per approfondire il problema lasciai copia della mia documentazione a Cacioppo e ad altri due ammiragli, Eugenio Sicurezza e Leciano Dassatti (rispettivamente ex ed attuale responsabile delle Capitanerie di Porto, ndr). Cercavo collaborazione, ma mi trovai difronte ad una chiusura totale”. Da parte sua, l’ammiraglio Cacioppo racconta quell’incontro in termini più sfumati: “È vero, venne a trovarmi il dottor Scaramella”, spiega. “Disse se non sbaglio che collaborava a una commissione parlamentare, e che doveva svolgere indagini per le quali gli serviva il nostro appoggio. Riguardo all’oggetto delle indagini non ho però ricordi di missili russi nel golfo di Napoli. Ricordo invece che ero molto di fretta, quel giorno…”.
Comunque sia andata, l’impressione è che sia ora iniziata una nuova fase. Nella nota che Mario Scaramella ha consegnato a Guido Bertolaso si da infatti notizia di un accordo biennale tra L’international maritme organization e l’Enviromental crime prevetion program per individuare quanto prima gli eventuali siluri radioattivi disseminati nel golfo di Napoli. O perlomeno, per negare a ragion veduta la loro presenza. Intanto gli stati membri della Convenzione di Londra hanno chiesto che l’ECPP e l’Organizzazione atomica intenazionale sviluppino ulteriori indagini nel mediterraneo per verificare lo stato di salute radiologica del nostro mare. Lo stesso ECPP sta monitorando in questo periodo l’area davanti al golfo di Napoli non sogetta a sovranità italiana, ovvero oltre le 12 miglia. E la protezione civile italiana? L’Ecpp ha chiesto a Guido Bertolaso la “definizione di un programma congiunto di monitoraggio e studi”. Attende risposta.
tratto da L’espresso del 24 marzo 2005

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